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Storytelling efficace: l’unico concetto che ti serve per diventare master


Autore
Andrea Provino
Data
Tempo di lettura
6 minuti
Categoria
Data Science

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Oggi parliamo di crescita personale, e nello specifico di un metodo di comunicazione efficace: lo storytelling.

Devi sapere che in questo blog siamo molto attenti alle soft-skills, che devono necessariamente accompagnare quelle più tecniche e verticali.

Accanto a competenze di programmazione, di analisi e visualizzazione dati, devi saper fare anche un’altra attività fondamentale.

Ogni bravo data scientist deve essere infatti un abile comunicatore, capace di interfacciarsi con stakeholder e decision makers con precisione, per trasmettere concetti chiave con ordine e chiarezza.

Quindi, in quella che è ormai diventata la nostra Data Science Academy, ti accompagnerò oggi in un affascinante viaggio alla scoperta di una tecnica con la quale potrai rapire l’attenzione dei tuoi ascoltatori.

Storytelling

Per capire come mai lo storytelling sia così importante, dobbiamo salire sulla macchina del tempo.

Tira la leva.

Sì, quella di sinistra.

Sotto al pulsante DO NOT TOUCH HERE. Aspetta, non sgualcire la foto con Kennedy, ci tengo molto a quel cimelio.

Partiamo!

PowerPoint è nato una trentina di anni fa (agghiacciante in effetti).

La scrittura, circa 3000 anni fa.

A questo punto però, da migliaia di anni trasmettevamo sapere e conoscenza con pitture rupestri, adornando le pareti delle grotte.

Dobbiamo allora portare la macchina del tempo più indietro se vogliamo studiare l’origine del primo vero sistema di trasmissione di conoscenza.

Ruota la manopola C133, quella che attiva lo stimolatore del cesio. Non badare al rossetto, è di Marilyn. Sì quella.

Si riparte! Indietro di 100.000 anni.

Seguimi.

Ci siamo evoluti grazie alla comunicazione verbale di esperienze, trasmesse da generazione in generazione con l’ausilio di una potentissima arma: la storia.

Quando intendiamo trasmettere un’informazione non esiste nulla di più efficace di una storia.

Lascia che ti spieghi il perché.

Una storia ben raccontata attiva le connessioni nervose dei nostri neuroni, permettendoci di conservare un’informazione per lungo tempo.

Calma calma, tra pochissimo capiamo come ciò avvenga!

Per il momento, stiamo comunque parlando di un fenomeno puramente evolutivo.

La selezione naturale ha fatto sì che sopravvivesse chi fra i nostri antenati fosse in grado di ricordare situazioni di pericolo, evitandole; e costruire trappole, migliorandone lo sviluppo nel tempo.

La nostra mente si è allora evoluta a sfruttare le storie e non lo ha fatto negli ultimi decenni.

Lo ha fatto in migliaia e migliaia di anni.

Pensi allora che sia una ridicola idea saper sfruttare il risultato di un processo di selezione naturale per migliorare la nostra vita, il nostro lavoro?

Ritieni che sia così inutile imparare a usare efficacemente la storia come strumento di comunicazione, per raggiungere i nostri obiettivi?

Se la risposta a entrambe le domande è un sonoro NO!, accomodati da questa parte.

Sarò il tuo compagno in questo breve viaggio: apri lo zaino e raccogli tutte le informazioni che ritieni più utili, perché quando arriverà il momento giusto saprai come sfruttarle a tuo vantaggio.

Iniziamo.

Avvia il protocollo shrink.

Dobbiamo diventare piccoli per entrare nel cervello.

Si parteeeeeee

Storytelling e Ormoni: la nostra mente alla mercé della chimica

Il nostro cervello, tanto sofisticato, centro nevralgico di attività consce e inconsce ha una componente fortemente chimica che regola il suo operato.

Quando parliamo di chimica e di cervello, la parola chiave è ormone.

Magari ricorderai le lezioni di biologia delle superiori, e allora confermo che ogni ormone è un “messaggero chimico” che opera per conto e negli interessi del nostro corpo.

Sintetizzato dalle ghiandole endocrine, se messo in circolazione, svolge una funzione regolatrice stimolando funzioni o attività organiche.

Ora, a noi gli ormoni interessano perché sono strettamente legati alla percezione di emozioni e sentimenti.

Emozioni e sentimenti sono a loro volta parole chiave del processo mnemonico.

Ricordi il costo del pacchetto di biscotti del supermercato che volevi acquistare 1 anno e 2 mesi fa?

Eppure sono sicuro che ricorderai le materie d’esame alla maturità, e quella domanda così subdola che la professoressa ti fece davanti alla commissione, quando il cuore batteva forte, il sudore scendeva lungo la schiena e la gamba tremava, mentre le dita stringevano la gamba.

Nel mio caso, era la formula chimica della TNT. Il trinitrotoluene. Un composto che ricorderò per sempre.

Qual è la differenza? Nel secondo caso il ricordo è associato a delle emozioni forti, agli ormoni che erano in circolo in quel momento nel tuo sangue.

Ambiente – Pensiero – Ormoni – Ricordo

In risposta a uno stimolo ambientale forte, la nostra mente elabora la situazione producendo ormoni e registrando l’evento nella memoria.

Perché da 100.000 anni siamo abituati a fare questo. Per sopravvivere.

Non dobbiamo fare altro che creare stimoli forti nei nostri ascoltatori e avremo raggiungo l’obiettivo: trasmettere un’informazione alla loro memoria.

Ok, quello è un candelotto di dinamite della collezione privata di Nobel.

Inoltre, un’esplosione non è proprio la mia idea di stimolo forte, e non penso che tu voglia sventrare le pareti della sala riunione.

Meglio che torniamo nel futuro. La macchina del tempo non è un ambiente sicuro per te.

Torniamo grandi, usciamo dal cervello, e andiamo nel nostro tempo!

Come creare uno stimolo

Non abbiamo bisogno di portare il nostro interlocutore in un ambiente da noi creato per fargli ricordare qualcosa.

Ne tanto meno spaventarlo a morte con un esplosione, anche se potrebbe comunque sortire il risultato voluto.

Il secondo elemento della catena che ti ho presentato poco fa è infatti il pensiero.

Dobbiamo allora fargli pensare che stia vivendo quella situazione, dobbiamo trasmettergli la percezione che si trovi davvero in un ambiente, senza spostarlo fisicamente.

Sai di cosa abbiamo bisogno? Di una storia!

Ecco lo storytelling

Una storia produce in noi gli stessi ormoni che avremmo di fronte a una situazione reale. Ecco perché vedere un film ci entusiasma e ascoltare una canzone di fa sentire liberi. Inducono i noi pensieri che stimolano il rilascio di ormoni.

Ormoni come la serotonina, la dopamina, l’endorfina, l’ossitocina, la vasopressina.

Ora, non dobbiamo diventare esperti chimici, ma conoscere quali di questi ormoni susciti l’effetto desiderato. E allora, proseguiamo il viaggio.

Seguimi, da questa parte.

Dopamina (C8H11NO2)

La dopamina ha effetti su:

  1. Concentrazione
  2. Motivazione
  3. Memoria

Per indurre il rilascio di questa sostanza dobbiamo aggiungere nelle nostre storie:

  • suspense
  • finale sospeso (cliff-hanger)
  • storytelling

Chiaramente lo storytelling ha al suo interno espedienti per rilasciare dopamina per qui è un canale.

Ossitocina (C43H66N12O12S2)

L’ossitocina è l’ormone che ci rende umani. Ha effetti su:

  1. Generosità
  2. Fiducia
  3. Legami e rapporti

In più, alti livelli di ossitocina sono associati a uno stato di relax.

Il miglior modo per indurre rilascio di ossitocina è aggiungere empatia durante il tuo storytelling.

Endorfine

Le endorfine hanno effetti sulla:

  1. Positività
  2. Creatività
  3. Riduzione dello stress

Il loro rilascio è strettamente collegato alla risata. Quindi, aggiungi qualche cosa di divertente, una battuta o un fatto simpatico, nel tuo storytelling.

Qui un video per un maggiore approfondimento.

Per il momento è tutto.

Per aspera, ad astra.

Un caldo abbraccio, Andrea

Taggeddata sciencedata scientist


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